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lavoro - 25/01/2021
  1. La prima riguarda l’ipotesi di un lavoratore al quale sia impedito, per provvedimenti delle autorità pubbliche, di uscire da casa. In tal caso, l’assenza del lavoratore, evidentemente non determinata da colpa del lavoratore, può essere gestita ricorrendo allo smart working. Ove questo non sia possibile la situazione si complica. Infatti, ad esempio il CCNL Terziario prevede che:

     

    Capo X

    SOSPENSIONE DEL LAVORO

    Art. 202

    (Sospensione)

    In caso di sospensione del lavoro per fatto dipendente dal datore di lavoro e indipendente dalla volontà del lavoratore, questi ha diritto alla retribuzione di fatto di cui all'art. 208, per tutto il periodo della sospensione.

    La norma di cui al precedente comma non si applica nel caso di pubbliche calamità, eventi atmosferici straordinari e altri casi di forza maggiore.

    Altri Contratti non hanno previsioni così specifiche. Il problema è serio e la soluzione non potrà essere che trovata dalla politica, nel frattempo il lavoratore non può essere lasciato senza retribuzione, potranno essere considerate soluzioni come la concessione di permessi retribuiti per la durata del periodo di impedimento, oppure l’azienda o lo Studio professionale può decidere per una chiusura per ferie collettive. A seguito dell’intervento dell’ultimo Dpcm del’8 marzo u.s., ai sensi del contenuto della lettera s), primo comma dell’art. 2, il lavoratore non potrà opporsi. Ovviamente le ferie verranno scalate dal monte giorni/ore a disposizione del lavoratore; se questi avrà un arretrato sufficiente non vi saranno problemi, viceversa se non avrà maturato ed accantonato un numero sufficiente, il datore di lavoro avrà solo due soluzioni, la prima è di lasciare che il “contatore ferie/permessi vada in negativo, tale situazione nel tempo potrà normalizzarsi con la maturazione nei mesi successivi dei nuovi ratei come previsto dal CCNL applicato, se successivamente il lavoratore necessiterà di assentarsi pur in assenza di sufficienti accantonamenti, il datore di lavoro potrà sempre concedere permessi retribuiti, per il lavoratore la retribuzione in tal modo è garantita, per il datore di lavoro non viene limitato l’esborso finanziario, se vi sarà l’utilizzo dei ratei non goduti negli anni precedenti questa soluzione “alleggerirà” il conto economico (tanto più se vi sono debiti per maturazioni oltre i 18 mesi precedenti per i quali si sia già pagato l’onere contributivo - Inps, messaggio n. 18850/2006; Ministero del lavoro, interpello n. 5221/2006 e n. 19/2011 -), mentre se non ve ne sono il costo del lavoro non subirà sostanziali variazioni; la seconda opzione, più onerosa, è quella di non “toccare il monte ore/giorni maturato e non goduto e concedere ulteriori permessi retribuiti per la durata della chiusura aziendale, tale soluzione non è assolutamente obbligata anche se in genere i “ratei” non goduti vengono percepiti dai lavoratori come una sorta di tesoretto da tenere da conto che non si sa mai, tale interpretazione non ha però riscontro alcuno nelle normative vigenti, infatti il mancato godimento del periodo minimo legale delle ferie, o di quello più ampio previsto dai contratti collettivi, è punito con una sanzione amministrativa pecuniaria ai sensi articolo 18-bis, comma 3, D.Lgs. 66/2003.

    Ultima chance è di utilizzare, in caso di elevata numerosità delle assenze la Cassa Integrazione, di cui però al momento mancano le istruzioni operative dell’estensione della cassa integrazione in deroga (Cigd) e per l’utilizzo del Fondo di integrazione salariale (Fis) per tutta la nuova zona arancione.

  2. La seconda ipotesi riguarda la sospensione dell’attività a causa dei provvedimenti dell’autorità pubblica. In questo caso ci troviamo di fronte all’impossibilità per il lavoratore di rendere la prestazione lavorativa per ragioni indipendenti dalla propria volontà, ma anche senza responsabilità del datore di lavoro. In tale ipotesi si verifica il permanere del diritto alla retribuzione pur in assenza dello svolgimento della prestazione. Valgono le stesse considerazioni del caso precedente con la speranza che vi sia la pubblicazione del riconoscimento dell’accesso a trattamenti di CIG, come preannunciato dal Ministro del Lavoro entro i prossimi giorni.
  3. Terza ipotesi: la quarantena obbligatoria per contrazione del virus c.d. asintomatico, oppure per aver contratto il virus, questa comporta l’assenza “forzata” del lavoratore interessato che è assimilabile ai casi di ricovero per patologie o interventi. Dunque, tale assenza dovrà essere disciplinata secondo le previsioni, di legge e contrattuali, che riguardano l’assenza per malattia, con le conseguenti tutele per la salute e la garanzia del posto di lavoro.
  4. Quarta ipotesi: caso di assenza per quarantena volontaria da parte di persone che scelgono autonomamente di isolarsi pur non avendo sintomi palesi di contagio che tuttavia sono conseguenti a misure stabilite dalle pubbliche autorità per contenere la diffusione del virus, questo tipo di comportamenti deve essere considerato di oggettiva prudenza, rispondente alle prescrizioni della normativa d’urgenza, conseguentemente disciplinato come per le astensioni dalla prestazione lavorativa obbligate dal provvedimento amministrativo e può essere gestita ricorrendo, ove possibile, allo smart working.

    E si ritorna al primo caso: utilizzo di ferie e permessi o attivazione degli ammortizzatori sociali.

  5. Infine, come quinta ipotesi si cita l’assenza autodeterminata da parte di lavoratori che ritengono il fenomeno dell'epidemia sufficiente di per sé a giustificare l’assenza dal lavoropur non sussistendo provvedimenti di Pubbliche Autorità che impediscano la libera circolazione, l’ipotesi (che ormai vale solo per le zone non arancioni) va considerata un’assenza ingiustificata dal luogo di lavoro, con conseguente potenziale esposizione del lavoratore a provvedimenti disciplinari.
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